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Biomasse


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COS’È LA BIOMASSA

La biomassa vegetale è la materia che costituisce le piante. L’energia in essa contenuta è energia solare immagazzinata durante la crescita per mezzo della fotosintesi clorofilliana. Mediante questo processo, le piante assorbono dall’ambiente circostante anidride carbonica (CO2) e acqua, le quali sono trasformate, con l’apporto dell’energia solare e di sostanze nutrienti presenti nel terreno, in materiale organico utile alla crescita della pianta. Per questo motivo le biomasse, se utilizzate all’interno di un ciclo continuo di produzione-utilizzazione, sono una risorsa energetica rinnovabile e rispettosa dell’ambiente. L’uti-lizzazione delle biomasse per fini energetici non contribuisce all’aumento del livello di CO2 nell’atmosfera, poiché la quantità dell’anidride carbonica rilasciata durante la trasformazione energe-tica (fermentazione o combustione) è equivalente a quella assorbita durante la crescita della bio-massa stessa. Quindi, se le biomasse bruciate sono rimpiazzate con nuove biomasse, non vi è alcun contributo netto. Il processo è ciclico: fino a quando le biomasse bruciate sono rimpiazzate con nuove biomasse, l’immissione netta di anidride carbonica nell’atmosfera è nulla.

Vanno invece considerati tutti gli apporti energetici necessari al trasporto e al trattamento delle biomasse stesse, che potrebbero essere costosi in termini di emissioni di CO2, e che verranno de-scritti meglio nella sezione dedicata agli impianti di trasformazione (vedi sotto – Caldaie a Biomas-sa). Inoltre, altre sostanze, come ad esempio gli ossidi di azoto (NOx) e di zolfo (SOx), vengono emessi in atmosfera durante il processo di combustione.

In generale, è corretto parlare di apporto nullo di CO2 in termini teorici e di bilancio globale; sul piano pratico, la migliore approssimazione reale si ottiene riducendo al minimo il lavoro di trasporto, semplificando i processi di trasformazione, ottimizzando i processi di sostituzione (ripiantumazione e rimboschimento, o programmi di gestione del patrimonio forestale di partenza). In altre parole, la filiera corta (in tutte le sue accezioni), e la vocazione territoriale (anche in senso storico e sociologico, oltre che produttivo e naturale) è la condizione di migliore e più efficiente sfruttamento della biomassa come risorsa energetica rinnovabile.

La Biomassa utilizzabile ai fini energetici consiste in tutti quei materiali organici che possono essere utilizzati direttamente come combustibili ovvero trasformati in combustibili solidi, liquidi o gassosi. Sono quindi biomasse, oltre alle essenze coltivate espressamente per scopi energetici, tutti i prodotti delle coltivazioni agricole e della forestazione, compresi i residui delle lavorazioni agricole e della silvicoltura, gli scarti dei prodotti agro-alimentari destinati all’alimentazione umana o alla zootecnia, i residui, non trattati chimicamente, dell’industria della lavorazione del legno e della carta, tutti i prodotti organici derivanti dall’attività biologica degli animali e dell’uomo. Nell’accezione più generale si può quindi considerare Biomassa tutto il materiale di origine organica sia vegetale, sia animale, ma per schematizzare meglio questo settore si possono prendere in considerazione le tre principali filiere che lo rappresentano:

  • Filiera del legno (ne fanno parte,ad esempio l’utilizzo dei residui della lavo-razione del legno per usi di falegnameria o l’impiego di legna da ardere come uso diretto o indiretto (cippato o pellet)
  • Filiera dell’agricoltura (ne fanno parte la coltivazione specifica di essenze coltivate appositamente per fini energetici come ad esempio la canna da zucchero per ricavare etanolo o la colza, e la soia per ricavare biodiesel o olio vegetale ma anche l’utilizzo di scarti della lavorazione di prodotti agro-alimentari come gusci, noccioli, stocchi di mais etc. o la combustione di residui di potatura
  • Filiera degli scarti e dei rifiuti vegetali e animali (comprende la trasfor-mazione in biogas dei liquami e dei reflui provenienti da allevamenti animali oppure la generazione e lo sfruttamento di biogas da discariche di rifiuti solidi urbani)

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TECNOLOGIE D’IMPIEGO

L’utilizzo delle biomasse presenta una grande variabilità in funzione dei tipi dei materiali di-sponibili e, nel tempo, sono state sviluppate molte tecnologie di conversione energetica, delle quali alcune possono considerarsi ormai giunte a un livello di sviluppo stabile e maturo. Altre, invece, più recenti e molto complesse, necessitano di ulteriore sperimentazione al fine di aumentare i rendimenti e ridurre i costi di conversione energetica.
I processi utilizzati attualmente sono riconducibili a due categorie: processi termochimici e processi biochimici, all’interno dei quali si suddividono le tecnologie attualmente di-sponibili. Ad eccezione della combustione diretta – tutti i processi che coinvolgono lo sfruttamento delle biomasse per fini energetici si configurano sostanzialmente come trasformazioni, mirate ad au-mentare la resa termica, a sfruttare sino in fondo il materiale disponibile, a migliorarne la praticità di trasporto ed impiego e le caratteristiche di stoccaggio oppure a ridurre residui dopo l’utilizzazione:

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Processi termochimici

I processi di conversione termochimica sono basati sull’azione del calore che permette le reazioni chimiche necessarie a trasformare la materia in energia termica e sono utilizzabili per i prodotti ed i residui cellulosici e legnosi in cui il rapporto C/N abbia valori superiori a 30 ed il contenuto di umi-dità non superi il 30% (tali valori sono indicativi di riferimento). Ad esempio, la legna secca (15% umidità residua) ha un potere calorifico di circa 3600 Kcal/Kg ossia la combustione di 1 Kg di legna fornisce in media 4,2 kWh di energia . Per confronto 1 m³ di metano e 1 litro di gasolio forniscono mediamente 10 kWh.

  1. Combustione diretta 
    è il più semplice dei processi termochimici e consiste nell’ossidazione completa del combustibile a H2O e CO2 ; è attuata, in generale, in apparecchiature (caldaie) in cui avviene anche lo scambio di calore tra i gas di combustione ed i fluidi termovettori (acqua, olio diatermico, etc.). La combustione di prodotti e residui agricoli si attua con buoni rendimenti, soprattutto se si utilizzano come com-bustibili sostanze con contenuti di acqua inferiori al 30%. I prodotti utilizzabili a tale scopo sono i seguenti:

    • legname in tutte le sue forme (intero, cippato, segatura, trucioli, pellet);
    • paglie di cereali;
    • residui di piante oleaginose (ricino, girasole, etc.);
    • residui di piante da fibra tessile (cotone, canapa, etc.);
    • residui legnosi di potatura di piante da frutto e di piante forestali;
    • residui dell’industria agro-alimentare (gusci, noccioli, stocchi di mais).
  2. Carbonizzazione
    è un processo di pretrattamento del materiale vegetale che consiste nell’alterazione termochimica della biomasse mirato a conferirle migliori caratteristiche attraverso la trasformazione delle molecole strutturate dei prodotti legnosi e cellulosici in carbone (carbone di legna o carbone vegetale), me-diante somministrazione di calore in presenza di poco ossigeno e la conseguente eliminazione dell’acqua e delle sostanze volatili non combustibili dalla materia vegetale.
  3. Pirolisi
    è un processo di degradazione termochimica di materiali organici, attraverso l’azione del calore, a temperature elevate (tra 400 e 800°C), in completa assenza degli agenti ossidanti (aria o ossigeno) o con una ridottissima quantità di ossigeno (in questo caso il processo può essere descritto come una parziale gassificazione). Dalla pirolisi si ottengono prodotti gassosi, liquidi e solidi, in proporzioni che dipendono dai metodi utilizzati (pirolisi veloce, lenta, o convenzionale) e dai parametri di rea-zione. La produzione di energia basata su questa tecnica presenta ancora alcuni problemi connessi alla qualità dei prodotti così ottenuti, che non ha ancora raggiunto un livello sufficientemente ade-guato rispetto alle applicazioni (con turbine a gas o con motori diesel). Attualmente, le prospettive migliori sono per impianti di grandi dimensioni che utilizzano olio da pirolisi, e per impianti di pic-cola taglia che usano i prodotti pirolitici con motori a ciclo diesel.
  4. Gassificazione
    il processo consiste nella trasformazione in combustibile gassoso di un combustibile solido o liquido, nel caso specifico della biomassa, attraverso una decomposizione termica (ossidazione parziale) ad alta temperatura (900÷1.000°C). Il gas prodotto è una miscela di idrogeno, anidride carbonica, monossido di carbonio, ossidi di azoto, vapore acqueo e idrocarburi combustibili (metano princi-palmente), accompagnati da ceneri in sospensione. La proporzione tra i vari componenti del gas varia notevolmente in funzione dei diversi tipi di gassificatore, dei combustibili e del loro contenuto di umidità. Di conseguenza anche il potere calorifico del combustibile, che si ottiene, è molto variabile ma è mediamente basso.
    La tecnologia presenta ancora alcuni problemi, principalmente per il non elevato potere calorifico dei gas ottenuti e per le impurità il loro presenti (polveri, catrami e metalli pesanti). Inoltre, l’utilizzo del gas di gasogeno quale vettore energetico è limitato per i problemi connessi ai costi dello stoccaggio e del trasporto, causa il basso contenuto energetico per unità di volume rispetto ad altri gas. Per rendere economicamente più valido questo processo si trasforma il gas in alcool metilico, che può essere impiegato per l’azionamento di motori endotermici in sostituzione della benzina tradizionale.

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Processi biochimici

I processi di conversione biochimica sono dovuti al contributo di enzimi, funghi e micro-organismi, che si formano nella biomassa sotto particolari condizioni e vengono impiegati per quelle biomasse in cui il rapporto C/N sia inferiore a 30 e l’umidità alla raccolta superiore al 30%.

Risultano idonei alla conversione biochimica:

  • colture acquatiche
  • alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, ortive, patata, ecc.)
  • reflui zootecnici
  • scarti di lavorazione (borlande, acqua di vegetazione, etc.)
  • biomassa eterogenea immagazzinata nelle discariche controllate
  1. La digestione anaerobica
    E’ il processo di fermentazione (conversione biochimica) della materia organica ad opera di micro-organismi in assenza di ossigeno; consiste nella demolizione delle sostanze organiche complesse contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale (lipidi, protidi, glucidi), che dà origine ad un gas (biogas) costituito per il 50-70% da me-tano e per la restante parte soprattutto da CO2, con un potere calorifico medio dell’ordine di 6,4 Kwh/m³. Questo processo di fermentazione della sostanza organica ne conserva integri i principali elementi nutritivi presenti (azoto, fosforo, potassio), agevolando la mineralizzazione dell’azoto or-ganico, in modo che l’effluente ne risulti un ottimo fertilizzante.
    Il biogas prodotto viene raccolto, essiccato, compresso ed immagazzinato in appositi serbatoi per utilizzarlo come combustibile per caldaie a gas nella produzione del calore o per motori a combu-stione interna (si utilizzano motori di tipo navale a basso numero di giri) per produrre energia elet-trica.
    Gli impianti a digestione anaerobica possono essere alimentati anche con residui ad alto contenuto di umidità, quali le deiezioni animali, i reflui civili, i rifiuti alimentari e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani e questo potrebbe rappresentare un’interessante opportunità negli impianti di raccolta dei rifiuti urbani. Però, la raccolta del biogas sviluppato nelle discariche, anche se attrezzate allo scopo, non supera il 40% circa del gas generato e quasi il 60% è disperso in atmosfera, esito non auspicabile perché la gran quantità di metano presente nel biogas ha conseguenze negative sull’effetto serra. Pertanto questo processo andrebbe svolto essenzialmente in appositi impianti chiusi (digestori), dove quasi tutto il gas prodotto viene raccolto ed usato come combustibile.
  2. digestione aerobica
    consiste nella metabolizzazione ad opera di batteri delle sostanze organiche, in ambiente con ab-bondante presenza di ossigeno. Questi micro-organismi convertono sostanze complesse in altre più semplici, liberando anidride carbonica e vapore acqueo e producendo un elevato riscaldamento del substrato, proporzionale alla loro attività metabolica. Il calore prodotto può essere così trasferito all’esterno, mediante scambiatori a fluido. In Europa viene utilizzato il processo di digestione aero-bica termofila autoriscaldata (Autoheated Termophilic Aerobic Digestion) per il trattamento delle acque di scarico. Questo processo è alla base della produzione di compost per usi agricoli (ad esem-pio in impianti di trattamento della componente vegetale dei rifiuti solidi urbani) e quindi, ove lo si recuperi, il calore può essere considerato, in questo caso, una forma di cogenerazione nel riciclo dei rifiuti.
  3. La fermentazione alcolica
    è un processo di tipo micro-aerofilo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produ-zioni vegetali in etanolo. L’etanolo risulta un prodotto utilizzabile anche nei motori a combustione interna normalmente di tipo “dual fuel”, come riconosciuto fin dall’inizio della storia automobilisti-ca. Se, però, l’iniziale ampia disponibilità ed il basso costo degli idrocarburi avevano impedito di affermare in modo molto rapido l’uso di essi come combustibili, dopo lo shock petrolifero del 1973 sono stati studiati numerosi altri prodotti per sostituire il carburante delle automobili (benzina e ga-solio); oggi, tra questi prodotti alternativi, quello che mostra il miglior compromesso tra prezzo, di-sponibilità e prestazioni è proprio l’etanolo, o più probabilmente il suo derivato ETBE (EtilTertio-ButilEtere), ottenuto combinando un idrocarburo petrolifero (l’isobutene) e l’etanolo.
  4. Estrazione oli vegetali e produzione di biodiesel
    alcune essenze vegetali presentano la caratteristica di avere semi ricchi di oli che possono essere estratti ed utilizzati come combustibili per alimentare gruppi elettrogeni attraverso la combustione diretta.
    Queste piante dette oleaginose (soia, colza, girasole, mais, barbabietola da zucchero ecc.) producono quantità di olio in misura del 35-45% del peso con un potere calorico del tutto confrontabile con combustibili di origine fossile come il gasolio. Come combustibili sono utilizzabili, in maniera diretta dopo adeguata raffinazione, per la produzione di energia elettrica ed energia termica con impianti di combustione a tecnologia molto semplice. In alternativa notevole interesse ha il loro utilizzo come carburante nei motori endotermici, miscelati in percentuali variabili con il gasolio tradizionale; questo utilizzo può avvenire dopo esterificazione (processo che avviene tramite aggiunta di metanolo per la eliminazione della glicerina), in modo da assicurare la compatibilità con i motori endotermici. Si tratta del cosiddetto (biodiesel che vasti consensi sta avendo per le sue potenziali possibilità di sostituire i carburanti tradizionali nell’autotrazione. Per altro su-scitando vivaci polemiche, in quanto dedicare superfici agricole alla coltivazione di essenze per la produzione di biocarburanti le sottrae al loro scopo primario di produzione di risorse per l’alimentazione umana, diretta o indiretta (per l’allevamento animale).

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Approfondimenti sulle caldaie a biomassa

Un tema da trattare di grande interesse per l’utenza residenziale è quello dei generatori termici a biomassa (caldaie a legna, a pellet, a cippato) in sostituzione dei tradizionali generatori a gasolio o a metano. Rimandiamo ai link utili gli opportuni approfondimenti tecnici.
In questa sede vogliamo solo ricordare che, grazie al citato ciclo della CO2 ,con bilancio sostan-zialmente nullo di emissioni in atmosfera, il potere calorifico della biomassa viene considerato pari a zero. Si può quindi accedere alle detrazioni fiscali del 55% applicando il comma 344 della Finan-ziaria 2008 e considerando pari a zero il fabbisogno di energia primaria per la climatizzazione in-vernale. Il DM 11/3/08, tuttavia. ha prescritto anche che le caldaie a biomassa devono rispettare le seguenti ulteriori condizioni: a) avere un rendimento utile nominale minimo conforme alla classe 3 di cui alla norma europea EN 303-5; b) rispettare i limiti di emissione di cui all’allegato IX alla parte quinta del D. Lgs. 3/4/06 n. 152 e successive modifiche e integrazioni. oppure i più restrittivi limiti fissati da eventuali norme regionali. se presenti; c) utilizzare biomasse combustibili ricadenti fra quelle ammissibili ai sensi dell’allegato X alla parte quinta dello stesso D.Lgs. 152/2006 e successive modifiche e integrazioni. La rispondenza a tali requisiti deve essere attestata da apposita certificazione fornita dal costruttore che dovrà essere riportata nell’asseverazione compilata dal tecnico abilitato che redige la certificazione energetica, indispensabile per avere diritto alle detra-zioni.
A proposito delle emissioni, si ritiene spesso che la combustione della legna sia molto inquinante, ma ciò è vero solo per le vecchie caldaie tradizionali dove la combustione non è ottimizzata. Questa af-fermazione non vale quindi per le moderne caldaie ad alta tecnologia progettate per ottenere una combustione quasi perfetta della legna e con emissioni comparabili a quelle delle caldaie a combustibile fossile.
Tali risultati sono stati ottenuti, grazie all’introduzione di diversi dispositivi come la “sonda lambda” e, nelle caldaie di grande taglia, di cicloni e filtri a manica ed elettro-statici, ma anche per la separazione dell’aria primaria da quella secondaria e dal ricircolo dei fumi di combustione.
Il controllo delle emissioni è particolarmente attento e sviluppato nei grossi impianti, tuttavia si stanno rapidamente trasferendo le tecnologie ai più piccoli dispositivi domestici, come ad esempio i termocaminetti; in questo caso bisognerebbe separare la zona di combustione dalla zona di scambio termico e utilizzare dei catalizzatori che permettano di bruciare la fuliggine per aumentare ancora di più i rendimenti termici e la qualità della combustione.
Già detto del bilancio nullo della CO2 , si rileva che le caldaie a biomassa hanno emissioni di biossido di zolfo o anidride solforosa (SO2) simili o inferiori ai sistemi convenzionali, leggermente maggiori per quanto riguarda gli ossidi di azoto (NOx) ed il monossido di carbonio (CO), mentre sono più alte, ma comunque accettabili, le emissioni di polveri e di composti organici volatili (COV).
Le emissioni atmosferiche causate dalla combustione in caldaia non sono gli unici impatti ambientali che dovrebbero essere presi in considerazione. Nella precedente analisi non sono state valutate le “spese energetiche” relative al taglio, al trattamento e al trasporto del combustibile legnoso per cui una valutazione più puntuale del bilancio ambientale complessivo richiederebbe un’analisi sull’intero ciclo di vita del combustibile.
Sono stati svolti studi ipotizzando che i pellets vengano trasportati “su gomma” per una distanza massima di circa 500 km e che siano conteggiate le emissioni relative al processo di produzione e smaltimento delle caldaie. Dal confronto scaturisce che i pellets abbiano prestazioni nettamente migliori per quanto riguarda le emissioni di CO2 e CO. Le emissioni di SO2 risultano essere molto più basse rispetto a quelle imputabili alle caldaie a gasolio, ma poco più alte se comparate a quelle a gas. Le emissioni di polveri sono solo leggermente superiori ai due sistemi convenzionali considerati, e comunque il progresso tecnologico nelle tecniche di abbattimento delle emissioni solide è molto significativo di anno in anno. Si deve comunque sottolineare l’importanza estrema di utilizzare pellet di qualità (possibilmente certificato) per avere un potere calorifico di livello costantemente elevato e soprattutto emissioni limitate e non pericolose e ceneri prodotte in quantità minima.

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Esercizio e manutenzione della caldaia

Per ridurre al minimo le emissioni è anche molto importante una gestione e manutenzione ottimale del sistema di riscaldamento a biomassa. Alla base c’è la corretta scelta della taglia della caldaia, perché un appropriato dimensionamento permette condizioni operative ideali e riduce l’esigenza di rimozione delle ceneri di pulizia della camera di combustione e del numero di avarie dovute carichi troppo bassi.
Il tempo da dedicare alla manutenzione dipende da diversi fattori: dalla tipologia di combustibile utilizzato, se l’approvvigionamento del combustibile può essere svolto senza la presenza di personale e se esso causa ricorrenti interruzioni nel sistema di alimentazione, se parte della supervisione può essere effettuata da sistemi di controllo a distanza.
Le attività in questo ambito comprendono: controllo visivo della caldaia (almeno una volta al mese), regolazioni e interventi di piccola manutenzione, acquisto del combustibile, gestione e smaltimento delle ceneri. Tuttavia il tempo necessario per la gestione e la manutenzione dipende dalla taglia dell’impianto e dal consumo del combustibile (meno ore per gli impianti più piccoli).
Nel caso degli impianti più grandi, per limitare la richiesta di lavoro si può affidare la gestione e la manutenzione ad una società di servizio energetico oppure dotarsi di sistemi automatici di rimozione delle ceneri e di pulizia degli scambiatori di calore. Comunque con una caldaia di nuova concezione e con l’utilizzo di pellet o di cippato di buona qualità la manutenzione non dovrebbe richiedere più di 30 minuti al mese secondo i dati dei costruttori di caldaie compatte altamente automatizzate.
In ogni caso il fornitore o l’installatore dovrà dare adeguate istruzioni alla persona responsabile della caldaia. Queste istruzioni dovrebbero riguardare: gli interventi giornalieri, le persone da contattare per le consulenze, gli errori più frequenti, le modalità di avviamento dell’impianto, come individuare i guasti e la regolazione della combustione.

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I costi di un sistema di riscaldamento a biomasse: investimento, costi di esercizio e tempi di ritorno

Le valutazioni economiche relative a sistemi alimentati con i combustibili legnosi si basano su costi di investimento generalmente più elevati di quelli per impianti a combustibile tradizionale e su costi d’esercizio che risultano essere più bassi.
Secondo l’esperienza circa il 25% del costo di investimento per un sistema di riscaldamento a legna installato in un edificio esistente è legato allo stoccaggio ed al sistema di alimentazione della caldaia. Le caldaie a legna automatiche, fornite di semplici sistemi di pulizia dei gas combusti, possono anche avere un costo fino al 50% dell’investimento iniziale. La quota restante pari a circa il 25% può essere suddivisa in parti uguali tra la canna fumaria, il montaggio, la progettazione e la direzione lavori.
Tuttavia in tutte le tipologie di impianto (caldaie a pezzi di legna, cippato o a pellet) i costi di in-vestimento per kW diminuiscono sensibilmente all’aumentare della potenza installata, ma la con-venienza a realizzare un impianto a biomasse deve essere valutata sui tempi di recupero dell’investimento iniziale che dipendono principalmente dal risparmio di combustibile convenzionale e, pertanto, dall’intensità di utilizzo dell’impianto.
Impianti di riscaldamento a biomassa sono dunque consigliabili per unità abitative di dimensioni re-lativamente grandi e abitate per tutto l’anno. Elemento chiave per una valutazione del progetto è il costo del combustibile legnoso . Questo valore, per la legna da ardere può oscillare da zero (per chi dispone di legna propria) a circa 12/13 € per quintale. Nel caso del cippato il prezzo varia da 3 €/q a un massimo di circa 6 €/q. Il pellet è più costoso: il costo varia da 15 a 25 €/q.
Nell’analisi di fattibilità e nel calcolo della convenienza un ruolo importante hanno le detrazioni fiscali del 55% sull’IRPEF, anche se non sono essenziali. Prenderemo in considerazione un impianto con caldaia a pellet, che è sostanzialmente comparabile con un impianto a legna, perché hanno gli stessi costi di investimento iniziale e gli stessi costi di esercizio (la legna ha un costo unitario inferiore rispetto al pellet ma questo è compensato dal potere calorifico sostanzialmente inferiore).
Tralasciamo di analizzare impianti a cippato perché sono normalmente adatti a siatemi di potenza elevata (oltre i 35 KW) e richiedono infrastrutture per lo stoccaggio del combustibile normalmente rilevanti e quindi estranee alle esigenze di utenze residenziali mono o bi-familiari.
Se si considerano impianti con potenza installata inferiore a 35 KW i costi delle caldaie compresa la manodopera di installazione oscillano tra 8000 e 12000 € in base anche alle dimensioni dell’accumulatore termico e alla presenza di piccoli serbatoi di accumulo del combustibile (pellet). I costi possono crescere a 20000 € se sono accompagnati da opere edili per la costruzione, ad esempio di serbatoi di accumulo che consentono di gestire l’approvvigionamento del pellet con autobotte (in maniera del tutto simile ai serbatoi di gasolio), con ripristino delle scorte 2 o 3 volte nella stagione e gestione totalmente automatica dell’impianto.
Nel caso citato i costi di esercizio (anche considerando i maggiori costi di manutenzione ordinaria e straordinaria legati allo scarico delle ceneri settimanali e alla pulizia generale di fine stagione) variano mediamente da 1/3 a 2/3 dei costi corrispondenti con combustibili tradizionali, essendo i risparmi maggiori nei confronti del gasolio e tanto piu’ consistenti quando si sostituiscano generatori obsoleti scarsamente efficienti.
In queste condizioni i tempi di ritorno dell’investimento) oscillano da 2 a 5 anni a seconda che si sostituiscano generatori tradizionali a gasolio poco efficienti o a metano già di buona efficienza. I vantaggi crescono ulteriormente qualora si utilizzi legna di proprietà e quindi a costo praticamente nullo.
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